martedì 13 febbraio 2018

La morte di Wolverine. L'evoluzione del personaggio Marvel che ha cambiato il mondo dei supereroi (14)

La tredicesima parte è qui.

Weapon X di Barry Windsor Smith

La parola a X-Chris
«Ho sviluppato il personaggio di Wolverine cercando di entrare nei suoi panni» ha dichiarato Chris Claremont al quotidiano Il Foglio, in un articolo del marzo 2017 realizzato in occasione dell'uscita dell'ennesimo film dedicato al ghiottone canadese. «Mi sono domandato perché fosse un solitario, se si trattasse di una scelta o di una necessità, e quali costi e benefici questo comportasse. Fondamentale per il personaggio è stato rivelare che i suoi artigli non escono dal costume, sono parte del suo corpo. Il lettore si è subito chiesto chi potesse aver messo queste armi bioniche nel suo corpo. E così abbiamo iniziato a lanciare indizi sul suo passato, e a svelare parte della sua personalità: per quanto Wolverine abbia un fattore rigenerante, estrarre gli artigli dal corpo comporta notevole sofferenza per lui, è un guerriero, ma un guerriero ferito».[1]

 
Chris Claremont

Lo sviluppo del personaggio da parte del suo vero creatore, quel Chris Claremont che lo ha reso il più importante super-eroe degli ultimi decenni, non è stato rapido, né facile, lo si capisce da queste poche frasi.
Wolverine entrò negli anni '80 non ancora del tutto definito, molti aspetti della sua personalità erano ancora in uno stato embrionale, la portata dei suoi poteri appena accennata, ma il burbero mutante aveva già le carte in regola per sfondare, per essere la pietra angolare su cui basare storie di ampio respiro, sia con gli X-Men che da solo. Così Claremont continuò a lasciare indizi, tracce, briciole di pane per seguire il percorso che aveva in mente.

Alla fine del decennio si arrivò alla sovraesposizione di Wolverine. Era ovunque e tutti i principali autori si cimentarono nel dare la loro versione dell'X-Man canadese: miniserie, one-shot, cross-over, graphic novel, albi di varia natura uscivano a getto continuo: legge della domanda e dell'offerta, certo, i lettori lo volevano e la Marvel li accontentò. In seguito, soprattutto a partire dagli anni '90, fu pure peggio: non si poteva far uscire un albo a fumetti che sperasse di vendere qualche copia più del minimo sindacale senza Wolverine. Poi nel 2000 arrivò il Wolverine cinematografico che, grazie anche alla bella interpretazione di Hugh Jackman, oltrepassò il buon successo ottenuto dai film sugli X-Men, generando vari spin-off dedicati all'artigliato. Questo portò un ulteriore peggioramento alla sovraesposizione nei fumetti. Wolverine nei Vendicatori... ma davvero?
A partire dagli anni '80 Wolverine divenne un'icona, il moderno super-eroe che andava ben oltre il manierismo di Superman e la problematicità adolescenziale dell'Uomo Ragno. Fu il primo personaggio Marvel a cui fu consentito uccidere, per davvero, in scene truculente che anticipavano il boom del genere splatter. Ogni epoca ha i suoi antieroi, al cinema, nei fumetti, ecc. Gli anni '80 ci portarono il cinico, problematico e spregiudicato Wolverine, ma la sua parabola, come abbiamo visto, iniziò nel decennio precedente.
Narrativamente tutto quello che è stato realizzato su Wolverine dopo che Claremont lasciò gli X-Men nel 1991, e prima ancora quando lasciò la guida della testata personale dell'artigliato, non ha probabilmente un grandissimo valore. Certo, sono state realizzate anche belle storie, qualcuno ha avuto buone idee, si sono scoperte molte cose sul suo passato (era ora), ma il meglio di sé Wolverine l'ha dato quando era "solo" uno dei membri degli X-Men, in perenne conflitto col capo di turno, alla spasmodica ricerca di se stesso e di un posto nel mondo, posto che sembrava aver trovato nella famiglia mutante, sempre col tarlo sul suo passato, sul suo essere per natura un killer sanguinario, sul suo disperato bisogno di un rapporto umano, nonostante l'apparente misantropia e la sua personalità da solitario.

Conclusioni...
Alla Marvel hanno deciso di ucciderlo. Non è stata una cattiva idea. E' risorto? Non è risorto? Bho, non si è ben capito, ci sono troppi Wolverine in giro in questo momento: figli, cloni, versioni provenienti da dimensioni parallele, un caos incredibile. Tra qualche tempo ci sarà probabilmente un reboot del personaggio anche al cinema, perché Jackman non è che può interpretarlo per sempre, l'ultima volta Logan era vecchio e sgangherato e l'attore australiano ha detto basta. Ci sarà un nuovo volto per Wolverine e il successo non mancherà. Forse sarà una donna, come la bella clone Laura che ne veste i panni nei comics, forse dentro il Marvel Cinematic Universe ora che la 20th Century Fox è diventata Disney. Il personaggio, con il suo enorme fascino, ha le carte in regola per ottenere ancora strabilianti successi al cinema e su carta.

X-23, la giovane Laura Kinney, clone di Wolverine che ne ha preso il posto dopo la sua morte. Copertina di Alan Davis di Uncanny X-Men n° 451 del 2004

Note
[1] Stefano Priarone, Esce il nuovo film su Wolverine, il Clint Eastwood dei fumetti, Il Foglio, 1 marzo 2017

lunedì 12 febbraio 2018

La morte di Wolverine. L'evoluzione del personaggio Marvel che ha cambiato il mondo dei supereroi (13)

La dodicesima parte è qui.

Wolverine secondo Frank Miller (copertina del volume Wolverine del 1987)

Da solo
Mentre gli X-Men continuavano a sorprendere con colpi di scena e novità a non finire che tenevano incollati i lettori alle storie, all'epoca realizzate dal nuovo disegnatore regolare Paul Smith, Wolverine si prese una licenza per andare a trovare la sua amata Mariko in Giappone.

Per l'occasione la Marvel inaugurò un nuovo modo di proporre i suoi fumetti, utilizzando le cosiddette mini-serie (o limited series): collane dalla durata prestabilita, tipicamente di quattro numeri, perfette per sondare il terreno per qualche nuovo personaggio, magari in attesa di una serie regolare se ci fosse stato il giusto responso di pubblico. Ma anche uno strumento ideale per raccontare storie particolari, per approfondire alcuni aspetti di un personaggio secondario o di una situazione narrativamente interessante. Inevitabilmente una delle prime fu proprio quella dedicata a Wolverine e non poteva essere altrimenti visto il successo dell'artigliato e la sensazione che su di lui ci fosse tanto da raccontare, perché fino ad allora si era solo sfiorata la superficie. C'era tutto un passato da scrivere e X-Chris aveva qualche idea su come farlo. I disegni furono affidati Frank Miller, talentuoso disegnatore e autore che nei primi anni '80 stava rivoluzionando il personaggio di Devil  in versione hard boiled e per questo si stava segnalando come uno dei migliori fumettisti in circolazione.

L'uccisione di Elektra per mano del perfido Bullseye. Una delle scene più forti mai apparse in un albo della Marvel (da Daredevil n°181)

Un'accoppiata vincente quella formata da Miller e Claremont che in effetti sfornò un piccolo capolavoro. La mini-serie Wolverine fu pubblicata in quattro numeri nell'estate del 1982, anche se dal punto di vista della continuity la storia si inserisce tra i numeri della collana The Uncanny X-Men usciti nell'inverno e nella primavera successivi.[1]


Questo racconto segna l'apice della crescita di Wolverine, un processo durato sette anni, ma anche la base per il futuro. Claremont e Miller diedero la veste definitiva al personaggio, lo caratterizzarono come avventuriero dal passato turbolento e complesso, in cui onore e senso del dovere vanno di pari passo con la sua natura selvaggia. Wolverine diventò così un personaggio dotato di una profondità sino ad allora solo intuita.

Per amore e per onore
Wolverine su reca in Giappone per scoprire cosa sta succedendo alla bella Mariko che da un po' non risponde alle sue lettere e alle sue telefonate. Si capisce che Logan, come viene chiamato quasi sempre nel racconto, conosce bene il paese, i suoi usi, le sue tradizioni; ne parla la lingua alla perfezione (Claremont ne aveva fatto cenno anni prima) e ha ancora qualche conoscente laggiù. Briciole di un passato ancora tutto da scrivere, lasciate sul posto da Claremont per incuriosire i lettori. Accenni che negli anni successivi daranno modo a tantissimi autori di sbizzarrirsi nell'immaginare mille avventure mozzafiato. Il rapporto con la bella giapponese stava cambiando in profondità il burbero X-Man. Onore e buone maniere erano l'inedito terreno su cui aveva iniziato a muoversi, non senza fatica. Lei è l'erede di una importante famiglia giapponese, il clan Yashida. Ma ci sono dei problemi. Il padre di lei, Shingen, creduto morto, torna e riprende in mano le redini del clan. E' coinvolto in un complotto per prendere il potere nel Paese del Sol Levante e per questo trasforma il clan in un'organizzazione criminale. Mariko viene fatta sposare per interesse con un altro uomo e Wolverine non la prende bene. Tutto si gioca sul fatto di essere degno del suo amore, sulla necessità di non disonorare la dama che accetta il suo destino in forza del profondo senso del dovere verso il padre. Logan poi è un gaijin, un occidentale, uno straniero, e per questo in fondo considerato indegno di stare con Mariko. Lo scontro è inevitabile. Alla fine Wolverine uccide Shingen interrompendo così i suoi piani criminosi. Anche il marito di lei è nel frattempo morto. Il faccia a faccia finale tra i due amanti è drammatico e intenso. Logan crede che Mariko si dovrà vendicare per difendere il suo onore, l'uccisione del padre li ha resi nemici. Alla fine il ghiottone dovrà probabilmente uccidere anche la donna che ama. Invece Mariko lo sorprendente. Dichiara che il padre, con le sue azioni, ha macchiato di vergogna il clan. Wolverine, invece, merita di possedere la spada, vecchia di centinaia di anni, che deve essere impugnata dal samurai che meglio incarna le virtù di perfezione che dovrebbero essere alla base delle azioni dei membri del clan.

 La lotta tra Shingen e Wolverine. Non finisce in modo piacevole (da Wolverine n°4)
  
«Io non ne sono degno», dichiara Logan. «Tu hai lottato per il bene degli altri, per la giustizia e la verità. - risponde Mariko - Shingen per l'ambizione e alla fine per la sopravvivenza. Tu hai perseverato, benché questo potesse costarti tutto ciò che hai di più caro. E così, mio amato, hai dimostrato di essere ciò che Shingen non ha mai potuto sperare di essere Mariko confessa che lei stessa avrebbe alla fine ucciso il padre e poi si sarebbe tolta la vita attraverso il seppuku, il rituale di suicidio dei samurai noto anche come harakiri. Le azioni di Logan l'hanno sollevata dall'ingrato compito e da una tragica fine.
Nella tavola finale si vedono gli X-Men che leggono l'invito alle nozze di Lady Mariko con il suo amato Logan. Wolverine si sposa! Incredibile!


Kitty Pryde tiene tra le mani l'annuncio di nozze di Mariko e Logan (da Wolverine n°4)

La storia, pur piena di tutti i luoghi comuni occidentali sul Giappone, è magnifica e piena di risvolti drammatici che la rendono a suo modo profonda. Un modo comunque nuovo di fare fumetto. Il protagonista smette di vestire i panni scontati del super-eroe e si muove in un ambiente inedito, almeno per quanto riguarda la Marvel fino ad allora. Siamo davvero agli inizi di quella rivoluzione "autoriale" che trasformerà il fumetto americano negli anni '80.

La splendida splash page in cui Wolverine se la deve vedere con i pestiferi assassini della Mano (da Wolverine n°1)

Nella storia Miller prese spunto da molto di ciò che aveva già mostrato sulle pagine di Daredevil, ad esempio i ninja della Mano, setta di assassini che appaiono perfetti per assumere il ruolo di vittime sacrificali della furia del ghiottone. L'ambientazione notturna di una Tokyo fredda e spietata ricorda quella di un film che sarebbe uscito diversi anno dopo, Black Rain di Ridley Scott. Miller aveva il pallino per il Giappone, per le sue tradizioni e leggende, per i samurai e per i costumi tradizionali, tanto che l'anno dopo realizzò uno dei suoi capolavori, Ronin per la DC Comics, storia di samurai ambientata nell'antico Giappone feudale.

Ma c'è molto anche di Claremont nella mini-serie. Emblematica è la prima tavola nella quale Wolverine, voce narrante, si presenta con lo stesso proclama utilizzato nel numero 162 di The Uncanny X-Men, quando Wolverine stava lottando per la sua vita sul pianeta alieno della Covata.
«Sono il migliore in quello che faccio, ma quello che faccio non è una cosa piacevole»

La prima pagina di Wolverine n°1

Narrativamente la storia giapponese si collocata molto dopo l'avventura spaziale degli X-Men in cui Wolverine usa per la prima volta queste parole. In realtà il primo numero della mini-serie Wolverine fu pubblicata un mese prima rispetto al numero 162 di The Uncanny X-Men. Stravaganze della continuity marveliana. Ecco perché spesso viene riportato che l'esordio del famosissimo slogan avvenne in Wolverine n°1.
Claremont utilizzò la celebre frase in due contesti completamente diversi, in due storie dal sapore e dall'ambientazione apparentemente incompatibili da un punto di vista narrativo. Ma questo dimostra la grandezza e la versatilità del personaggio di Wolverine che nelle sue sapienti mani poteva muoversi in ambiti tra i più disparati, nel noir giapponese, come nelle storie più tipicamente supereroistiche. E il papà dei mutanti non si limitò a questo. In seguito scrisse spettacolari storie sull'artigliato ambientate in contesto inediti e stimolanti, in Asia come in Australia, in mezzo alle foreste canadesi come nella New York urbana. Insomma, Wolverine, dopo la sua "cura", divenne un personaggio tridimensionale, dalle potenzialità narrative quasi illimitate, soprattutto grazie alla possibilità di prendere spunto dal suo misterioso passato, tutto da raccontare. Ma alla base ci fu sempre lo slogan perfetto, il tormentone infinito, quell'essere il migliore nel suo campo, un campo in cui non sempre le cose sono piacevoli.

Una luminosa carriera e l'inizio della Wolverine-mania
Alla fine Wolverine non si sposò come fu narrato nelle pagine di The Uncanny X-Man... Qualche anno dopo la Marvel tentò di bissare il successo della prima mini-serie pubblicando Kitty Pryde and Wolverine, una lunga storia in sei puntate che servì a Claremont per approfondire ulteriormente il rapporto del ghiottone con il suo Giappone e per dare una veste adulta alla giovane X-Woman trasformandola in Shadowcat.[2] Peccato che la serie fu rovinata dal non eccelso lavoro del disegnatore Al Milgrom che non aveva purtroppo neppure un briciolo del talento di Frank Miller o degli altri disegnatori che di norma realizzavano le tavole della collana mutante. Per dare prova della versatilità del personaggio, Claremont realizzò, questa volta con il maestro John Buscema, la splendida Wolverine e la Tigre (Save the Tiger), pubblicata a puntate sull'antologico Marvel Comics Presents e ambientata nella immaginaria città asiatica di Madripoor, una via di mezzo tra Singapore, Macao e Hong Kong, dove Wolverine visse una divertente avventura in una ambientazione noir ispirata al film Casablanca. Da questa storia prese spunto l'avvio della serie regolare dedicata al ghiottone che la Marvel fece esordire, sempre su testi di Claremont e disegni di Buscema, nel 1988.

Dopo la prima mini-serie la Marvel fece uscire decine di pubblicazioni dedicate al ghiottone, ad opera di molti artisti di talento come Alan Davis, Mike Mignola e altri, fino alla fondamentale Weapon X realizzata da Barry Windsor-Smith nel 1991, apparsa sempre su Marvel Comics Presents e nella quale fu in parte rivelato il segreto del suo scheletro di adamantio.

Il resto è storia...

La quattordicesima parte è qui.

Note
[1] La miniserie Wolverine (4 numeri, date di copertina settembre-dicembre 1982) fu pubblicata dalla Play Press nell'omonimo volume nel luglio del 1989 (supplemento al n°4 del mensile DP7) basato a sua volta sul volume pubblicato dalla Marvel nel 1987.
[2] La miniserie Kitty Pryde and Wolverine (6 numeri, date di copertina novembre1984 - aprile 1985) fu pubblicata dalla Play Press nel n°2 della collana Play Book (marzo-aprile 1990).

lunedì 29 gennaio 2018

La morte di Wolverine. L'evoluzione del personaggio Marvel che ha cambiato il mondo dei supereroi (12)

L'undicesima parte è qui.

La furia di Wolverine in una splendida illustrazione di Gabriele Dell'Otto.

L'universo mutante prende forma
Dopo l'abbandono di John Byrne la serie degli X-Men non perse certo smalto, anzi, Chris Claremont continuò a far crescere i personaggi in situazioni sempre più drammatiche e coinvolgenti. Nacque un vero e proprio "universo mutante", sottoinsieme di quell'Universo Marvel all'interno del quale si muovevano gli uomini e le donne di Xavier. Il ruolo di disegnatore fu ripreso da un redivivo Dave Cockrum, colui che aveva iniziato tutto nel 1975. Il buon Dave sembrava aver perso un po' di smalto, non certo aiutato dal nuovo inchiostratore Joe Rubinstein, ma negli anni del suo secondo lungo stint con gli X-Men (quasi due anni) dimostrò di essere comunque perfettamente in linea con le storie di X-Chris e, accanto a qualche caduta di stile (come il primo discutibile costume di Kitty), partorì qualche buona idea.[1]
Le figure poste maggiormente al centro della scena furono Tempesta, sempre più leader e coscienza della squadra, Kitty Pryde, vera anima del gruppo, e ovviamente il ghiottone canadese. Ma le storie iniziarono sempre più a svolgersi in sottotrame lunghissime, tese a tener incollato il lettore alle pagine degli albi che mese dopo mese svelavano sempre nuovi aspetti e introducevano nuovi segreti. Iniziò a diventare dominante il tema dell'isolamento dei mutanti, temuti e odiati dal resto del genere umano. E iniziarono a crescere i dubbi negli stessi X-Men sul loro ruolo: perché fare gli eroi cercando di difendere il mondo se questo ti odia?
Claremont fece ritornare Ciclope tra le figure centrali della serie, prima da solo, alla ricerca del suo posto nel mondo, poi di nuovo nella squadra, in un ruolo che non era più il suo, perché il capo ormai era diventato Tempesta. Ma Claremont introdusse nuovi e avvincenti personaggi di contorno e sviluppo la personalità di molti altri solo abbozzati in precedenza.
Tra questi Lee Forrester, la bella ragazza che iniziò una relazione con Scott, fece capolino per un po'. Poi Carol Danvers, la sfortunata ex-Ms. Marvel, personaggio di cui Claremont aveva scritto la serie regolare proprio con Cockrum, che divenne un tassello importante delle storie. Poi ci fu l'inizio del lungo percorso che trasformò Magneto da arci-nemico in alleato di Xavier e degli X-Men. Illyana Rasputin, la sorellina di Colosso, che da bimba di pochi anni fu trasformata in una misteriosa adolescente piena di segreti. E i nemici: la sfuggente Mystica a capo della Confraternita dei Mutanti Malvagi; il Club Infernale e la sua Regina Bianca, Emma Frost, a capo di una scuola rivale a quella di Xavier che cercò di portare dalla sua parte la giovane Kitty. Da non dimenticare l'arrivo di Rogue... E poi le avventure spaziali con Deathbird, l'impero Shi'Ar e la temibile Covata. Mille avventure mozzafiato, contro il Dottor Destino, Arcade e perfino Dracula. Tutti a prendersela principalmente con la povera Ororo che avventura dopo avventura mutò il suo carattere: non più l'ingenua presunta dea africana, ma una figura di grande statura, guerriera riluttante, ma sempre più adulta e consapevole del suo ruolo, pur sempre in lotta con se stessa per ciò che stava diventando. E una sequenza di storie magnifiche: tra le migliori La Favola di Kitty, storia in cui Dave Cockrum si divertì a rielaborare i personaggi in un colorato e pittoresco mondo abitato da pirati, draghi, folletti, maghi, ecc.[2]

Kitty's Fairy Tale, gli X-Men con si erano mai visti (copertina di The Uncanny X-Men n°153)

Il quel periodo l'importanza degli X-Men continuò a crescere, tanto che la Marvel decise di dedicare ai mutanti due delle nuovissime graphic novel che da poco aveva iniziato a pubblicare: albi di prestigio, in grande formato, che richiama un po' quello tipico dei cartonati francesi, realizzati dai migliori autori in circolazione, ponendo attenzione alla cura della colorazione e della stampa, di norma molto scadente nei normali "giornalini", e della veste editoriale. Il primo celebre volume fu dedicato alla morte di Capitan Marvel, evento storico per l'epoca. La quarta graphic novel, scritta da Claremont che si accingeva a assumere il ruolo di deus ex machina dell'universo mutante, fu dedicata ai Nuovi Mutanti, primo spin-off degli X-Men, un gruppetto di giovani adolescenti radunati da Xavier mentre gli X-Men, creduti morti, erano nello spazio a combattere la Covata.[3] Dopo questa storia, pochi mesi dopo, fu lanciata la prima serie regolare derivata da quella degli X-Men, inaugurando una moda che continuò per decenni. Il quinto volume fu dedicato agli X-Men stessi, in una delle più belle e drammatiche storie scritte da X-Chris, tutta incentrata sull'odio degli uomini per i mutanti, uno dei primi casi in cui il fumetto super-eroistico americano affrontava temi sociali, in questo caso il razzismo nei confronti di una minoranza, peraltro inesistente nel mondo reale, ma paradigma di situazioni che la società statunitense conosceva fin troppo bene.[4] Un importante anticipo di come Claremont intendeva affrontare la questione era già stata data nei Giorni di un futuro passato, e in realtà era già stata in qualche modo introdotta negli anni '60 da Sten Lee fin dal primo numero del serial mutante. Ma  X-Men: God Loves, Man Kills ("Dio ama, l'uomo uccide") rappresentò una tappa molto importante per gli X-Men e per tutto il fumetto americano, poiché aprì la pista alla rinascita "autoriale" degli anni '80 che portò alla realizzazione di opere "impegnate" come Watchmen di Alan Moore, The Dark Knight Returns di Frank Miller, ecc.

«Umano? Osi chiamare quella... cosa...umano?» Povero Nightcrawler! Tempi duri per i mutanti (vignetta di Brent Anderson, da God Loves, Man Kills, 1982)

Sono il migliore in quello che faccio e quello che faccio non è piacevole...
Nelle storie pubblicate tra il 1981 e il 1982 Wolverine rimase per molto tempo un po' ai margini. Certo, era sempre uno dei personaggi principali, la sua sagace presenza era fondamentale nell'economia della narrazione. Ma per un po' non si lessero storie di cui fosse il principale protagonista. La scena era quasi sempre per Kitty, per Ororo, per Scott o per qualche altro membro dell'ormai enorme cast.
Per gran parte del 1982 gli X-Men furono coinvolti, pur con qualche fondamentale pausa, in una lunga storia ancora ambientata nello spazio, tra gli Shi'Ar, in compagnia dei Predoni Stellari di Christopher "Corsaro" Summers (il babbo di Scott...), contro la Guardia Imperiale, coinvolti nell'ennesima disputa per i trono dell'impero galattico di Lilandra conteso dalla malvagia sorella usurpatrice Deathbird, alleatasi con gli orridi insetti alieni noti come la Covata, gli "schifoidi", come furono soprannominati da Kitty. I poveri X-Men ci finirono in mezzo senza volerlo.

Wolverine si presenta, per la prima volta senza tacere nulla (da The Uncanny X-Men n° 162)


Il numero 162 della collana The Uncanny X-Men è uno dei più importanti di tutta la carriera editoriale di Wolverine. Rappresenta il culmine del procresso di crescita, l'esito di una ricerca durata sette anni. In questa storia fu stabilito in modo definitivo lo status del personaggio in quanto mutante, guerriero e eroe, o meglio, anti-eroe. Claremont continuò poi a sviluppare il personaggio, donandogli ulteriori elementi caratteristici che ne aumentarono la "tridimensionalità", ma fu in questa storia che fu portata a compimento la posa di stabili fondamenta su cui costruire il futuro.[5]
Gli X-Men, con Lilandra e Carol Danvers, vengono rapiti dalla Covata, la razza di insetti alieni alleati con Deathbird e visibilmente ispirati al mostro del capolavoro fantascientifico di Ridley Scott, Alien, uscito nelle sale nel 1979. La Regina Madre della Covata li ha voluti per deporre le sue uova nelle loro viscere. Lo scopo è generare dei nuovi esseri, suoi figli prediletti, dotati dei poteri dei nostri eroi, sfruttando una sorta di fusione genetica tra il DNA mutante e quello della sua stirpe. Naturalmente questo porterà alla morte dell'organismo ospite, nella trasformazione il nuovo membro della Covata si nutrirà del corpo della vittima. Una situazione disperata, narrativamente e visivamente molto forte e macabra, della quale gli X-Men non sono coscienti, ipnotizzati e convinti di trovarsi non nel selvaggio pianeta base della Covata, ma in una accogliente nave Shi'Ar.
Ma la Regina Madre non ha fatto i conti con Wolverine. I suoi sensi animaleschi fiutano l'inganno e il suo fattore di guarigione si ribella, i suoi anticorpi affrontano l'intruso, lo combattono e infine lo eliminano. Wolverine riesce a fuggire, passa un brutto quarto d'ora, è messo male, ma alla fine, quando la trasformazione è già in atto, riesce a cavarsela.

Il fattore di guarigione di Wolverine combatte l'intruso... e vince!  (da The Uncanny X-Men n° 162)

Il parassita alieno viene debellato dal potere mutante di Logan, ma lui stesso capisce che per i suoi amici non c'è speranza, loro non hanno il suo potere, non possono vincere l'intruso e il loro destino è segnato. Così Wolverine prende consapevolezza di dover evitare loro un destino atroce quanto ineludibile. Sceglie di ucciderli prima della trasformazione. Solo lui può farlo, anzi, solo lui ha il carattere per farlo. E' nella sua natura e non rifiuta l'ingrato compito.

Wolverine in modalità berserker. E' pur sempre il migliore...  (da The Uncanny X-Men n° 162)

Mentre combatte contro alcuni mostruosi esseri che abitano il pianeta, Wolverine, che è la voce narrante della storia, riflette amaramente: «Gli X-Men non mi hanno mai visto così. Una parte di me spera che non lo facciano mai.» Poi aggiunge:
«Sono il migliore che c'è in quello che faccio. Ma quello che so fare meglio non è molto bello.»
Per la prima volta Wolverine usa il suo slogan più celebre, il tormentone eterno che lo accompagnerà per tutta la sua carriera. In realtà aveva già detto qualcosa di simile un paio di anni prima, nel numero 133, affrontando in solitaria gli sgherri del Club Infernale. Anche allora Claremont aveva utilizzato la voce narrante di Wolverine per descrivere la scena. Ma la frase era calata in un contesto molto diverso. La prima volta Wolverine si stava divertendo, affrontare i soldati del Club Infernale era stata una festa, era stata l'occasione di dare libero sfogo ai suoi istinti accorgendosi però di poterli controllare, di aver fatto forse pace con la sua natura violenta. Questa volta invece quello che Wolverine "sa fare meglio" lo deve fare ai suoi amici, alla sua famiglia. E' un Wolverine adulto, non è più il bulletto focoso e istintivo dei primi tempi. Però quando è il momento assume le sembianze di un berserker, come gli antichi guerrieri norreni famosi per la loro ferocia e il furore che mettevano in battaglia quando entravano in una sorta di trance, uno stato mentale che li rendeva insensibili al dolore.

E' l'ora di prendere decisioni difficili. Solo Wolverine può farlo. (da The Uncanny X-Men n° 162)

Alla fine, fortunatamente, le cose si sistemano. Tutta la vicenda si svolge in una lunga sequenza di storie fino al numero 167 della collana. Nel frattempo Cockrum era stato sostituito dal nuovo e talentuoso disegnatore regolare Paul Smith. Wolverine libera i suoi compagni, ma vuole vendicarsi e uccidere quanti più "schifoidi" possibile, soprattutto la Regina. Ciclope, pur ignaro del destino che lo aspetta, riesce in qualche modo a trattenerlo e gli X-Men riescono a fuggire. Wolverine non uccide i suoi amici e confessa loro la verità. Fortunatamente vengono salvati dai Predoni Stellari di Corsaro e riescono a guarire. Il piano della Covata fallisce, ma ha delle conseguenza notevoli su alcuni personaggi. Tempesta, la cui anima e il cui corpo sono stati violati per l'ennesima volta, inizia il suo processo di trasformazione che la porterà poco dopo ad abbandonare il suo look da dea africana per assumere quello punk con i capelli "alla moicana". Carol Danvers, personaggio amatissimo da Claremont, riacquista, seppur in forma diversa, i suoi poteri e assume l'identità di Binary (per altro una della poche brutte idee partorite dall'autore nell'arco della sua carriera). La minorenne Kitty, perso per perso e capito che non ci potrà essere un futuro, si offre al suo amato Peter, in una scena tra le più audaci e discusse della storia del fumetto. Il professor Xavier, che si trovava sulla terra alle prese con l'assemblamento della nuova formazione dei Nuovi Mutanti, viene comunque infettato. Gli X-Men, tornati di gran fretta sulla terra, lo salvano a stento, anzi per il loro mentore sembra non esserci speranza e ovviamente è Wolverine che deve sistemare le cose. Ma la superiore tecnologia medica degli Shi'Ar e dei Predoni riesce a compiere l'insperato miracolo. Il corpo di Xavier ormai compromesso viene clonato e la sua mente trasferita nel nuovo simulacro. Tutto bene, anche perché con il nuovo "hardware" il professore riacquista l'uso delle gambe.

Due sono gli elementi legati a Wolverine che Claremont introduce o a cui dà una veste definitiva in questa storia. Il primo è la portata e la vera natura del potere mutante di Wolverine. Fino ad allora era una questione un po' nebulosa, mai del tutto spiegata, appena accennata un paio di volte, ma mai determinante nell'economia del personaggio e della narrazione. Questa volta Claremont usò il potere di guarigione del mutante canadese come fulcro della storia.Wolverine è mutante e il suo potere è quello di essere dotato di un fisico che guarisce in fretta, di anticorpi pressoché invincibili. E questo potere lo rende narrativamente utile. Poi c'è lo slogan, la firma del Wolverine guerriero: il personaggio non è solo istinto, ma è anche consapevolezza. Drammatica consapevolezza. Wolverine è l'eroe/anti-eroe per eccellenza. Questa storia lo stabilisce in modo inequivocabile.

Quattro-in-uno
L'evoluzione di Wolverine portò a una contraddizione mai risolta. L'incertezza iniziale sulla sua vera natura mutante portò gli autori a dotarlo in sostanza di due poteri, di fatto l'unico tra i suoi simili. In genere i mutanti marveliani sono dotati di una sola caratteristica peculiare, di un solo potere. Ciclope ha i suoi raggi energetici, Angelo un paio di ali, Hank McCoy era bestiale di aspetto e di una forza e di una agilità corrispondenti a questa particolarità fisica. In seguito divenne blu e peloso, ma per colpa di un esperimento fallito. Marvel Girl era una telecineta, poi acquisì poteri telepatici, ma gli autori hanno sempre spiegato che le due cose erano parte dello stesso potere. Narrativamente la cosa sta in piedi. Rogue può assorbire il potere di chi tocca e Claremont la trasformò facendole rubare stabilmente i poteri a Ms. Marvel. Ma all'inizio degli anni '80 si scoprì che Wolverine di poteri ne aveva due, distinti e poco confondibili: da una parte i sensi e l'istinto di un predatore, di una belva cacciatrice, fattore che ne determina la personalità violenta e spietata; dall'altra il potere di guarire in fretta, non solo di sopportare stoicamente il dolore, cosa che coerentemente si sarebbe potuta ricollegare alle sue caratteristiche animalesche. In più anni dopo fu rivelato che gli artigli di Wolverine erano naturali. Le lame di adamantio erano in realtà il rivestimento di appendici ossee che gli uscivano dalle mani. Era nato così. Gli artigli li aveva anche prima della manipolazione con la quale gli fu impiantato il metallo sullo scheletro. Insomma quattro-in-uno: implacabile e feroce cacciatore, dotato di un fattore di guarigione che lo rende praticamente immortale, sei artigli affilatissimi, uno scheletro di adamantio. Come si fa a batterlo? Forse hanno un po' esagerato... Ma tutto ciò ha contribuito a rendere Wolverine quello che è forse il miglior personaggio del fumetto super-eroistico di sempre. 

Continua nella tredicesima parte.

Note
[1] Dave Cockrum iniziò la sua seconda fase come disegnatore degli X-Men nel numero 145 della collana The Uncanny X-Men (data di copertina maggio 1981) e la concluse col numero 164 (data di copertina dicembre 1982). Tutte le storie furono pubblicate nel quindicinale L'Uomo ragno della Star Comics dal numero 28 (15 luglio 1989) al numero 50 (15 giugno 1990) salvo l'ultima che apparve nel primo numero del mensile Gli incredibili X-Men (luglio 1990).
[2] Il numero 153 della collana The Uncanny X-Men (data di copertina gennaio 1982) fu pubblicato in Italia nei numeri 39 e 40 del quindicinale L'Uomo Ragno della Star Comics (dicembre 1989-gennaio 1990).
[3] Il volume The New Mutants (Marvel Graphic Novel n°4, data di copertina novembre 1982, ma distribuita nel settembre 1982) fu pubblicato in Italia dall'editore Play Press nello Speciale I Nuovi Mutanti nel luglio 1989.
[4] Il volume God Loves, Man Kills (Marvel Graphic Novel n°5, data di copertina gennaio 1983, ma distribuita nel novembre 1982) fu pubblicato in Italia dall'editore Labor Comics nel 1986. Quindi riproposto a puntate nei numeri 1, 2 e 3 della rivista Super Comics della Max Bunker Press (ottobre-dicembre 1990) e ancora dall'editore Play Press nella collana Play Special n°15 (settembre 1992) e infine da Marvel Italia nel 2003.
[5] Il numero 162 della collana The Uncanny X-Men (data di copertina ottobre 1982) fu pubblicato in Italia nel numero 49 del quindicinale L'Uomo Ragno della Star Comics (30 maggio 1990). La saga della Covata proseguì nel numero successivo e poi nei primi due numeri del mensile Gli incredibili X-Men (luglio-agosto 1990).

giovedì 25 gennaio 2018

La morte di Wolverine. L'evoluzione del personaggio Marvel che ha cambiato il mondo dei supereroi (11)

La decima parte è qui.
Una bella rivisitazione di Giorni di un futuro passato fatta da Arthur Adams.

Il futuro è qui?
I numeri 141 e 142 della collana mutante pubblicati all'inizio del 1981 contengono Giorni di un futuro passato, ultima e tra le più celebri saghe sviluppate dal duo Chris Claremont-John Byrne.[1] Una chiara dimostrazione dell'arte dei due autori, tanto importante da aver ispirato uno dei film di Bryan Singer dedicati agli X-Men, 34 anni dopo.

La copertina di X-Men n° 141. Un Logan invecchiato affronta da par suo i pericoli dei Giorni di un futuro passato

La storia è complessa e ha risvolti narrativi che consentirono successivamente sviluppi inimmaginabili: Kate Pryde, la versione adulta di Kitty, viene trasportata mentalmente nel presente e si impossessa del corpo della  giovanissima X-Woman. Il futuro da cui proviene, trent'anni in avanti nel tempo (siamo quindi ipoteticamente nel 2010) è un disastro: il Nord America è dominato dalle Sentinelle che hanno praticamente sterminato i mutanti e i super-eroi. I pochi e invecchiati X-Men superstiti - tra di loro un malandato Magneto in sedia a rotelle, un'anticipazione del personaggio "buono" sviluppato anni dopo da Claremont - lottano come possono contro i dominatori robotici. Grazie ai poteri di Rachel, la figlia di Scott e Jean, mettono in pratica un piano disperato: vogliono evitare che nel loro passato avvenga l'evento che ha scatenato tutto, cioè l'assassinio avvento alla viglia di Ognissanti del 1980, da parte della Confraternità dei Mutanti Malvagi guidata da Mystica, del senatore Robert Kelly, politico spaventato dalla presenza dei mutanti che vorrebbe limitarne la diffusione creando proprio una nuova e più letale versione delle Sentinelle. Così Kate, nel corpo della sua controparte adolescente che vive nel presente, riesce ad avvisare in anticipo gli X-Men che, dopo una lunga e scatenata lotta piena di risvolti drammatici, salvano la vittima predestinata e cambiano così il corso della storia. Ma il futuro cambierà davvero? E' una domanda senza risposta, come avviene sempre nelle storie che usano l'artificio narrativo dei paradossi spazio-temporali. Sicuramente cambia il futuro di "questi X-Men", quelli che vivono nella nostra dimensione dell'Universo Marvel e più precisamente nella dimensione codificata come Earth-616, la "nostra" Terra. Kelly costruirà ugualmente le Sentinelle, ma anni e anni di storie successive resero evidente che il futuro da cui proviene Kate non è lo stesso in cui si svolgono le vicende degli eroi Marvel.
Ma è la presenza di Rachel che provocò molti mal di testa agli autori e ai lettori. La ragazza, si apprende nella storia, è la figlia di Scott "Ciclope" Summers e di Jane "Fenice" Grey. Il problema è che sua madre, nel presente, è morta da qualche mese, senza dare alla luce figli, anzi, senza nemmeno avere il tempo di sviluppare il suo rapporto affettivo con Scott. Perché Claremont incappò in una così vistosa incoerenza? La risposta è probabilmente da ricercare nei piani che l'autore aveva per il futuro dei suoi personaggi dopo la Saga di Fenice Nera, storia che, come sappiamo, fu modificata all'ultimo momento. Jane non sarebbe dovuta morire ed è pensabile che l'autore avesse in mente, come peraltro accennato in diverse occasioni attraverso interviste e dichiarazioni, di far uscire dagli X-Men sia Ciclope (cosa che in effetti avvenne) che Jane. I due poi avrebbero avuto tutto il tempo di sposarsi e vivere felici e contenti e, perché no, di mettere al mondo una bella bimba dai capelli rossi dotata di incredibili poteri mutanti. Probabilmente Claremont aveva già in mente la saga futuristica e scrivendola decise di non rinunciare al suo nuovo personaggio, nonostante fosse evidente che Rachel non poteva essere la figlia della "nostra" Jane, ma di una versione alternativa in cui, oltre al compiersi dell'assassinio del senatore Kelly, la X-Woman aveva avuto il tempo far nascere una figlia. E' ovvio che al tempo non si poteva sapere che Jane Grey sarebbe risuscitata editorialmente anni dopo per opera proprio di John Byrne, con una mossa scellerata che mise in crisi tutta la time-line e la coerenza narrativa della saga mutante.

Rachel come membro degli X-Men in una copertina di Chris Bachalo

In questa prima apparizione Rachel fu solo abbozzato come personaggio, ma era già chiaro il suo enorme potenziale: un'infanzia molto dura e piena di dolore e di sensi di colpa, in un mondo spietato e senza speranza. Ma anche di poteri straordinari che la rendevano narrativamente stuzzicante. Claremont la rimise in pista anni dopo, facendola arrivare fisicamente nel presente dal suo terribile futuro e rendendola per molto tempo un membro fisso degli X-Men per poi farla nuovamente e inopinatamente sparire. In seguito però la fece esordire nella serie di Excalibur, lo splendido spin-off mutante realizzato col grande Alan Davis. Tormenti personali, assurdi paradossi spazio-temporali e una bellezza straordinaria resero Rachel, che in seguitò assunse il ruolo di Fenice - come sua madre -, uno dei personaggi più interessanti del panorama mutante.

Buon vecchio Wolverine!
Il ruolo del ghiottone non è il principale in questa saga (anche se a lui sono dedicate tutte e due le copertine degli albi originali in cui fu pubblicata). Dopo l'avventura canadese che fece un po' di luce sul suo passato (ma anche sul suo futuro) i riflettori sono tutti per Kitty e per il gruppetto di nuovi personaggi introdotti da Claremont. Ma tra le pieghe della storia emergono alcuni aspetti fondamentali che riguardano Logan e la sua natura mutante. Nel futuro di Rachel e Kate il canadese appare invecchiato, ancora burbero e poco accomodante, ma nelle poche vignette a lui dedicate iniziano prepotentemente a delinearsi alcune delle caratteristiche che lo renderanno uno dei personaggi di maggior successo della Marvel, tanto da ispirare il Wolverine interpretato da Hugh Jackman nei film degli anni duemila. Un Wolverine senza costume, ormai è passato il tempo di giocare ai super-eroi per gli abitanti della New York dominata dalle Sentinelle, con il suo iconico giubbotto di pelle col pelo e un'aria quanto mai rude e un po' stralunata.[2]

 La morte di Wolverine. La prima di tante... (copertina di The Uncanny X-Men n°142)

Nel mondo dei Giorni di un futuro passato Wolverine muore, con Ororo e Colosso non fa in tempo a vedere l'auspicato ritorno di Kate dalla sua missione. Viene incenerito da una Sentinella, lottando per difendere i suoi cari, come forse è sempre stato il suo destino. Ciò che rimane di lui è solo il suo scheletro di adamantio che per la prima volta ci viene mostrato per intero in una macabra rappresentazione. Quindi è vero, Wolverine ha davvero uno scheletro metallico oltre agli artigli affilati che gli escono dagli avambracci.

Il Wolverine del futuro viene incenerito da una Sentinella. Ne rimane solo lo scheletro in adamantio e Tempesta e Colosso, prima di subire la stessa sorte, osservano attoniti i resti del loro compagno (da The Uncanny X-Men n°142)

Ancora più importante è però una scena che si svolge nel presente, durante la lotta contro la Confraternita di Mystica per il salvataggio del senatore Kelly (che, per inciso, verrà salvato proprio da Kate nel corpo di Kitty).
Wolverine lotta contro Pyro, mutante capace di controllare il fuoco, e rischia seriamente di essere incenerito dal mostro pirotecnico creato dall'avversario (come capita invece alla sua controparte futura incenerita dalla Sentinella), ma viene salvato da Tempesta che interviene generando pioggia e vento: «anche con il suo potere di guarigione veloce, Wolverine non può resistere a lungo a quella fiamma...  » (il corsivo è nel testo della didascalia). Se la cava, seppur bruciacchiato e dolorante, anche grazie alle molecole instabili del suo costume e, sorpresa, dal suo «potere di guarigione veloce». Le "molecole instabili" del costume sono un vecchio trucco narrativo escogitato addirittura da Stan Lee e Jack Kirby ai tempi dei primi Fantastici Quattro per consentire a Reed Richards di allungarsi a piacimento, a Susan Storm di rendersi davvero invisibile e alla Torcia Umana di non restare nudo ogni volta che pronunciava il grido di battaglia «Fiamma!» Anche Claremont di tanto in tanto ne ha fatto uso, ma fortunatamente con parsimonia. Invece il "potere di guarigione" è una mezza novità. Finalmente, dopo anni di incertezza, di frasi abbozzate, di indizi mai sviluppati, ci viene chiarito qual è la natura mutante di Wolverine. Fino ad allora, basti pensare alla storia in Canada nei numeri precedenti, Wolverine era dotato di sviluppatissimi sensi animaleschi, da predatore, simili a quelli del ghiottone da cui prende il nome, e di uno scheletro metallico in grado di resistere pressoché ad ogni colpo. Anni prima ci era stato detto che Wolverine "guarisce in fretta", ma poco altro che desse ragione del suo essere un mutante. Serviva qualcosa di più, un super-potere che lo mettesse in qualche modo alla pari dei suoi colleghi X-Men, tutti dotati di capacità straordinarie spesso problematiche, che desse quindi un senso compiuto e coerente al suo essere un membro degli X-Men. Semplicemente Len Wein e Dave Cockrum, nella Seconda genesi, si erano "dimenticati" di spiegare perché Wolverine fosse stato arruolato negli X-Men come mutante. In questa storia Claremont chiude la lunga ricerca di un vero ruolo per Wolverine all'interno della saga mutante. Ci sono voluti quasi sei anni... Lui è un ex-soldato, un ex-agente segreto, un ex di probabilmente tante cose, dal passato misterioso e tutto da raccontare; gli hanno impiantato uno scheletro di adamantio per renderlo un soldato ancor più pericoloso e potente, dotato di artigli mortali dello stesso metallo, capaci di uccidere e fare a pezzi gli avversari. La perfetta macchina assassina. Ma è anche un mutante, dotato di sviluppatissimi sensi e di un istinto animalesco in grado di superare quelli di un comune uomo, e di un potere di guarigione che gli permette di affrontare le lotte più sanguinose uscendone magari malconcio ma vivo.

Wolverine si salva grazie al suo potere di guarigione. Fa male, ma almeno è vivo! (da The Uncanny X-Men n°142)

E' una rivelazione capitale che nel seguito della sua storia editoriale permetterà di sviluppare ancora il personaggio. Ad esempio il potere di guarigione permette di spiegare come sia stato possibile impiantare nel suo corpo lo scheletro di adamantio senza ucciderlo. Ma anche di spiegare in parte la sua tendenza ad andare sempre incontro al pericolo, senza paura: se sai che guarisci in fretta è più facile buttarsi nella mischia! Inoltre permetterà agli autori, spesso esagerando, di lasciar intendere che Logan è molto più vecchio di quel che sembra: se hai un potere di guarigione sei sostanzialmente immune alle malattie e alla degenerazione del tuo corpo e quindi invecchi più lentamente. Negli anni successivi lo vedremo spesso alle prese con una bottiglia, ma impossibilitato a ubriacarsi grazie al suo potere! Ah, nemmeno l'abuso di tabacco gli crea problemi... Ma questi sono tutti sviluppi futuri, resi possibili grazie a questa capitale rivelazione di Claremont.[3]

Arrivederci John!
Il numero 143 di The Uncanny X-Men (la collana aveva cambiato ufficialmente denominazione un mese prima) fu l'ultimo disegnato da John Byrne che, accompagnato dal bravissimo inchiostratore Terry Austin, aveva contribuito non poco a far diventare la serie mutante il blockbuster della Casa delle Idee.[4]
Byrne è un autore molto discusso, ma è innegabile che fu uno degli artefici della rinascita del fumetto super-eroistico tra gli anni '70 e '80 anticipando l'invasione di nuovi talenti, molti inglesi, che rivoluzionarono il mondo dei fumetti con le loro opere. Tra i migliori talenti Marvel negli anni '70, Byrne segnò un'epoca col suo lavoro sui mutanti e dopo averli lasciati si dedicò, nella doppia veste di scrittore e di disegnatore, al rilancio, avvenuto con successo, dei Fantastici Quattro che da molti anni erano in balia di scrittori poco ispirati. Poi gli fu affidato dalla Distinta Concorrenza (il nomignolo dato da Stan Lee alla DC Comics) il difficile compito di dare una nuova veste e un nuovo slancio a Superman, il personaggio più pericoloso con cui avere a che fare per un autore. Fu di nuovo un successo che rese Byrne il più importante e famoso autore dell'epoca, tanto da essere riconosciuto anche fuori dal ristretto ambito fumettistico.
Per la Marvel non fu facile sostituirlo nella collana mutante. Diversi disegnatori si avvicendarono al suo posto con risultati grafici non così brillanti. Nonostante ciò e soprattutto grazie alla maestria di Chris Claremont che riuscì a scrivere storie sempre bellissime, gli X-Men non persero smalto, anzi furono condotti dal loro scrittore a nuovi successi, fino al cosiddetto filone "morte e distruzione", quando i toni delle storie si fecero sempre più cupi e tragici. Il successo della serie non diminuì e tutti gli anni '80 furono un periodo di magnifiche storie, tra le migliori dell'epoca.

L'ultima storia di Big John è una piccola gemma di umorismo e di sana avventura super-eroistica. Ne è protagonista assoluta Kitty Pryde, che ormai era diventata uno degli elementi cardine delle storyline di Claremont. Lasciata a casa dal professor Xavier e dagli altri X-Men, alla vigilia di Natale, la ragazzina si vede costretta ad affrontare da sola un pericoloso demone della schiatta dei N'Garai, mostriciattoli che ricordano quelli della saga di Alien e che saranno poi probabilmente l'ispirazione per i temibili "schifoidi" della Covata che tanto daranno da fare ai mutanti negli anni successivi. Sprite se la cava, ma la tenuta di Xavier che ospita la sua scuola ne esce mal ridotta. Ma ormai Kitty è una X-Woman a tutti gli effetti, come peraltro era stato certificato in una storia pubblicata nell'Annual del 1980, supplemento estivo della serie principale.[5]

Continua nella dodicesima parte.

Note
[1] Il numero 141 della collana X-Men (The Uncanny X-Men nel logo, data di copertina gennaio 1981)  fu pubblicato in Italia nei numeri 22 e 23 del mensile L'Uomo Ragno della Star Comics (marzo-aprile 1989).
[2] Il numero 142 della collana The Uncanny X-Men, il primo albo a adottare ufficialmente questo titolo dopo che per anni era stato usato in copertina (data di copertina febbraio 1981),  fu pubblicato in Italia nei numeri 23 e 24 del mensile L'Uomo Ragno della Star Comics (aprile-maggio 1989).
[3] I numeri 141 e 142 della collana X-Men furono ristampati in Italia nel volume Giorni di un futuro passato da Marvel Italia nel 1998 e in una nuova edizione nel 2014.
[4] Il numero 143 della collana The Uncanny X-Men  (data di copertina marzo 1981),  fu pubblicato in Italia nei numeri 26 e 27 del mensile L'Uomo Ragno della Star Comics (giugno-luglio 1989).
[5] X-Men King Size Annual n°4  (data di copertina 1980, pubblicato nell'agosto di quell'anno),  fu pubblicato in Italia nel numero 3 del trimestrale antologico Stor Magazine Oro della Star Comics (settembre 1992), dodici anni dopo l'originale.