martedì 13 febbraio 2018

La morte di Wolverine. L'evoluzione del personaggio Marvel che ha cambiato il mondo dei supereroi (14)

La tredicesima parte è qui.

Weapon X di Barry Windsor Smith

La parola a X-Chris
«Ho sviluppato il personaggio di Wolverine cercando di entrare nei suoi panni» ha dichiarato Chris Claremont al quotidiano Il Foglio, in un articolo del marzo 2017 realizzato in occasione dell'uscita dell'ennesimo film dedicato al ghiottone canadese. «Mi sono domandato perché fosse un solitario, se si trattasse di una scelta o di una necessità, e quali costi e benefici questo comportasse. Fondamentale per il personaggio è stato rivelare che i suoi artigli non escono dal costume, sono parte del suo corpo. Il lettore si è subito chiesto chi potesse aver messo queste armi bioniche nel suo corpo. E così abbiamo iniziato a lanciare indizi sul suo passato, e a svelare parte della sua personalità: per quanto Wolverine abbia un fattore rigenerante, estrarre gli artigli dal corpo comporta notevole sofferenza per lui, è un guerriero, ma un guerriero ferito».[1]

 
Chris Claremont

Lo sviluppo del personaggio da parte del suo vero creatore, quel Chris Claremont che lo ha reso il più importante super-eroe degli ultimi decenni, non è stato rapido, né facile, lo si capisce da queste poche frasi.
Wolverine entrò negli anni '80 non ancora del tutto definito, molti aspetti della sua personalità erano ancora in uno stato embrionale, la portata dei suoi poteri appena accennata, ma il burbero mutante aveva già le carte in regola per sfondare, per essere la pietra angolare su cui basare storie di ampio respiro, sia con gli X-Men che da solo. Così Claremont continuò a lasciare indizi, tracce, briciole di pane per seguire il percorso che aveva in mente.

Alla fine del decennio si arrivò alla sovraesposizione di Wolverine. Era ovunque e tutti i principali autori si cimentarono nel dare la loro versione dell'X-Man canadese: miniserie, one-shot, cross-over, graphic novel, albi di varia natura uscivano a getto continuo: legge della domanda e dell'offerta, certo, i lettori lo volevano e la Marvel li accontentò. In seguito, soprattutto a partire dagli anni '90, fu pure peggio: non si poteva far uscire un albo a fumetti che sperasse di vendere qualche copia più del minimo sindacale senza Wolverine. Poi nel 2000 arrivò il Wolverine cinematografico che, grazie anche alla bella interpretazione di Hugh Jackman, oltrepassò il buon successo ottenuto dai film sugli X-Men, generando vari spin-off dedicati all'artigliato. Questo portò un ulteriore peggioramento alla sovraesposizione nei fumetti. Wolverine nei Vendicatori... ma davvero?
A partire dagli anni '80 Wolverine divenne un'icona, il moderno super-eroe che andava ben oltre il manierismo di Superman e la problematicità adolescenziale dell'Uomo Ragno. Fu il primo personaggio Marvel a cui fu consentito uccidere, per davvero, in scene truculente che anticipavano il boom del genere splatter. Ogni epoca ha i suoi antieroi, al cinema, nei fumetti, ecc. Gli anni '80 ci portarono il cinico, problematico e spregiudicato Wolverine, ma la sua parabola, come abbiamo visto, iniziò nel decennio precedente.
Narrativamente tutto quello che è stato realizzato su Wolverine dopo che Claremont lasciò gli X-Men nel 1991, e prima ancora quando lasciò la guida della testata personale dell'artigliato, non ha probabilmente un grandissimo valore. Certo, sono state realizzate anche belle storie, qualcuno ha avuto buone idee, si sono scoperte molte cose sul suo passato (era ora), ma il meglio di sé Wolverine l'ha dato quando era "solo" uno dei membri degli X-Men, in perenne conflitto col capo di turno, alla spasmodica ricerca di se stesso e di un posto nel mondo, posto che sembrava aver trovato nella famiglia mutante, sempre col tarlo sul suo passato, sul suo essere per natura un killer sanguinario, sul suo disperato bisogno di un rapporto umano, nonostante l'apparente misantropia e la sua personalità da solitario.

Conclusioni...
Alla Marvel hanno deciso di ucciderlo. Non è stata una cattiva idea. E' risorto? Non è risorto? Bho, non si è ben capito, ci sono troppi Wolverine in giro in questo momento: figli, cloni, versioni provenienti da dimensioni parallele, un caos incredibile. Tra qualche tempo ci sarà probabilmente un reboot del personaggio anche al cinema, perché Jackman non è che può interpretarlo per sempre, l'ultima volta Logan era vecchio e sgangherato e l'attore australiano ha detto basta. Ci sarà un nuovo volto per Wolverine e il successo non mancherà. Forse sarà una donna, come la bella clone Laura che ne veste i panni nei comics, forse dentro il Marvel Cinematic Universe ora che la 20th Century Fox è diventata Disney. Il personaggio, con il suo enorme fascino, ha le carte in regola per ottenere ancora strabilianti successi al cinema e su carta.

X-23, la giovane Laura Kinney, clone di Wolverine che ne ha preso il posto dopo la sua morte. Copertina di Alan Davis di Uncanny X-Men n° 451 del 2004

Note
[1] Stefano Priarone, Esce il nuovo film su Wolverine, il Clint Eastwood dei fumetti, Il Foglio, 1 marzo 2017

lunedì 12 febbraio 2018

La morte di Wolverine. L'evoluzione del personaggio Marvel che ha cambiato il mondo dei supereroi (13)

La dodicesima parte è qui.

Wolverine secondo Frank Miller (copertina del volume Wolverine del 1987)

Da solo
Mentre gli X-Men continuavano a sorprendere con colpi di scena e novità a non finire che tenevano incollati i lettori alle storie, all'epoca realizzate dal nuovo disegnatore regolare Paul Smith, Wolverine si prese una licenza per andare a trovare la sua amata Mariko in Giappone.

Per l'occasione la Marvel inaugurò un nuovo modo di proporre i suoi fumetti, utilizzando le cosiddette mini-serie (o limited series): collane dalla durata prestabilita, tipicamente di quattro numeri, perfette per sondare il terreno per qualche nuovo personaggio, magari in attesa di una serie regolare se ci fosse stato il giusto responso di pubblico. Ma anche uno strumento ideale per raccontare storie particolari, per approfondire alcuni aspetti di un personaggio secondario o di una situazione narrativamente interessante. Inevitabilmente una delle prime fu proprio quella dedicata a Wolverine e non poteva essere altrimenti visto il successo dell'artigliato e la sensazione che su di lui ci fosse tanto da raccontare, perché fino ad allora si era solo sfiorata la superficie. C'era tutto un passato da scrivere e X-Chris aveva qualche idea su come farlo. I disegni furono affidati Frank Miller, talentuoso disegnatore e autore che nei primi anni '80 stava rivoluzionando il personaggio di Devil  in versione hard boiled e per questo si stava segnalando come uno dei migliori fumettisti in circolazione.

L'uccisione di Elektra per mano del perfido Bullseye. Una delle scene più forti mai apparse in un albo della Marvel (da Daredevil n°181)

Un'accoppiata vincente quella formata da Miller e Claremont che in effetti sfornò un piccolo capolavoro. La mini-serie Wolverine fu pubblicata in quattro numeri nell'estate del 1982, anche se dal punto di vista della continuity la storia si inserisce tra i numeri della collana The Uncanny X-Men usciti nell'inverno e nella primavera successivi.[1]


Questo racconto segna l'apice della crescita di Wolverine, un processo durato sette anni, ma anche la base per il futuro. Claremont e Miller diedero la veste definitiva al personaggio, lo caratterizzarono come avventuriero dal passato turbolento e complesso, in cui onore e senso del dovere vanno di pari passo con la sua natura selvaggia. Wolverine diventò così un personaggio dotato di una profondità sino ad allora solo intuita.

Per amore e per onore
Wolverine su reca in Giappone per scoprire cosa sta succedendo alla bella Mariko che da un po' non risponde alle sue lettere e alle sue telefonate. Si capisce che Logan, come viene chiamato quasi sempre nel racconto, conosce bene il paese, i suoi usi, le sue tradizioni; ne parla la lingua alla perfezione (Claremont ne aveva fatto cenno anni prima) e ha ancora qualche conoscente laggiù. Briciole di un passato ancora tutto da scrivere, lasciate sul posto da Claremont per incuriosire i lettori. Accenni che negli anni successivi daranno modo a tantissimi autori di sbizzarrirsi nell'immaginare mille avventure mozzafiato. Il rapporto con la bella giapponese stava cambiando in profondità il burbero X-Man. Onore e buone maniere erano l'inedito terreno su cui aveva iniziato a muoversi, non senza fatica. Lei è l'erede di una importante famiglia giapponese, il clan Yashida. Ma ci sono dei problemi. Il padre di lei, Shingen, creduto morto, torna e riprende in mano le redini del clan. E' coinvolto in un complotto per prendere il potere nel Paese del Sol Levante e per questo trasforma il clan in un'organizzazione criminale. Mariko viene fatta sposare per interesse con un altro uomo e Wolverine non la prende bene. Tutto si gioca sul fatto di essere degno del suo amore, sulla necessità di non disonorare la dama che accetta il suo destino in forza del profondo senso del dovere verso il padre. Logan poi è un gaijin, un occidentale, uno straniero, e per questo in fondo considerato indegno di stare con Mariko. Lo scontro è inevitabile. Alla fine Wolverine uccide Shingen interrompendo così i suoi piani criminosi. Anche il marito di lei è nel frattempo morto. Il faccia a faccia finale tra i due amanti è drammatico e intenso. Logan crede che Mariko si dovrà vendicare per difendere il suo onore, l'uccisione del padre li ha resi nemici. Alla fine il ghiottone dovrà probabilmente uccidere anche la donna che ama. Invece Mariko lo sorprendente. Dichiara che il padre, con le sue azioni, ha macchiato di vergogna il clan. Wolverine, invece, merita di possedere la spada, vecchia di centinaia di anni, che deve essere impugnata dal samurai che meglio incarna le virtù di perfezione che dovrebbero essere alla base delle azioni dei membri del clan.

 La lotta tra Shingen e Wolverine. Non finisce in modo piacevole (da Wolverine n°4)
  
«Io non ne sono degno», dichiara Logan. «Tu hai lottato per il bene degli altri, per la giustizia e la verità. - risponde Mariko - Shingen per l'ambizione e alla fine per la sopravvivenza. Tu hai perseverato, benché questo potesse costarti tutto ciò che hai di più caro. E così, mio amato, hai dimostrato di essere ciò che Shingen non ha mai potuto sperare di essere Mariko confessa che lei stessa avrebbe alla fine ucciso il padre e poi si sarebbe tolta la vita attraverso il seppuku, il rituale di suicidio dei samurai noto anche come harakiri. Le azioni di Logan l'hanno sollevata dall'ingrato compito e da una tragica fine.
Nella tavola finale si vedono gli X-Men che leggono l'invito alle nozze di Lady Mariko con il suo amato Logan. Wolverine si sposa! Incredibile!


Kitty Pryde tiene tra le mani l'annuncio di nozze di Mariko e Logan (da Wolverine n°4)

La storia, pur piena di tutti i luoghi comuni occidentali sul Giappone, è magnifica e piena di risvolti drammatici che la rendono a suo modo profonda. Un modo comunque nuovo di fare fumetto. Il protagonista smette di vestire i panni scontati del super-eroe e si muove in un ambiente inedito, almeno per quanto riguarda la Marvel fino ad allora. Siamo davvero agli inizi di quella rivoluzione "autoriale" che trasformerà il fumetto americano negli anni '80.

La splendida splash page in cui Wolverine se la deve vedere con i pestiferi assassini della Mano (da Wolverine n°1)

Nella storia Miller prese spunto da molto di ciò che aveva già mostrato sulle pagine di Daredevil, ad esempio i ninja della Mano, setta di assassini che appaiono perfetti per assumere il ruolo di vittime sacrificali della furia del ghiottone. L'ambientazione notturna di una Tokyo fredda e spietata ricorda quella di un film che sarebbe uscito diversi anno dopo, Black Rain di Ridley Scott. Miller aveva il pallino per il Giappone, per le sue tradizioni e leggende, per i samurai e per i costumi tradizionali, tanto che l'anno dopo realizzò uno dei suoi capolavori, Ronin per la DC Comics, storia di samurai ambientata nell'antico Giappone feudale.

Ma c'è molto anche di Claremont nella mini-serie. Emblematica è la prima tavola nella quale Wolverine, voce narrante, si presenta con lo stesso proclama utilizzato nel numero 162 di The Uncanny X-Men, quando Wolverine stava lottando per la sua vita sul pianeta alieno della Covata.
«Sono il migliore in quello che faccio, ma quello che faccio non è una cosa piacevole»

La prima pagina di Wolverine n°1

Narrativamente la storia giapponese si collocata molto dopo l'avventura spaziale degli X-Men in cui Wolverine usa per la prima volta queste parole. In realtà il primo numero della mini-serie Wolverine fu pubblicata un mese prima rispetto al numero 162 di The Uncanny X-Men. Stravaganze della continuity marveliana. Ecco perché spesso viene riportato che l'esordio del famosissimo slogan avvenne in Wolverine n°1.
Claremont utilizzò la celebre frase in due contesti completamente diversi, in due storie dal sapore e dall'ambientazione apparentemente incompatibili da un punto di vista narrativo. Ma questo dimostra la grandezza e la versatilità del personaggio di Wolverine che nelle sue sapienti mani poteva muoversi in ambiti tra i più disparati, nel noir giapponese, come nelle storie più tipicamente supereroistiche. E il papà dei mutanti non si limitò a questo. In seguito scrisse spettacolari storie sull'artigliato ambientate in contesto inediti e stimolanti, in Asia come in Australia, in mezzo alle foreste canadesi come nella New York urbana. Insomma, Wolverine, dopo la sua "cura", divenne un personaggio tridimensionale, dalle potenzialità narrative quasi illimitate, soprattutto grazie alla possibilità di prendere spunto dal suo misterioso passato, tutto da raccontare. Ma alla base ci fu sempre lo slogan perfetto, il tormentone infinito, quell'essere il migliore nel suo campo, un campo in cui non sempre le cose sono piacevoli.

Una luminosa carriera e l'inizio della Wolverine-mania
Alla fine Wolverine non si sposò come fu narrato nelle pagine di The Uncanny X-Man... Qualche anno dopo la Marvel tentò di bissare il successo della prima mini-serie pubblicando Kitty Pryde and Wolverine, una lunga storia in sei puntate che servì a Claremont per approfondire ulteriormente il rapporto del ghiottone con il suo Giappone e per dare una veste adulta alla giovane X-Woman trasformandola in Shadowcat.[2] Peccato che la serie fu rovinata dal non eccelso lavoro del disegnatore Al Milgrom che non aveva purtroppo neppure un briciolo del talento di Frank Miller o degli altri disegnatori che di norma realizzavano le tavole della collana mutante. Per dare prova della versatilità del personaggio, Claremont realizzò, questa volta con il maestro John Buscema, la splendida Wolverine e la Tigre (Save the Tiger), pubblicata a puntate sull'antologico Marvel Comics Presents e ambientata nella immaginaria città asiatica di Madripoor, una via di mezzo tra Singapore, Macao e Hong Kong, dove Wolverine visse una divertente avventura in una ambientazione noir ispirata al film Casablanca. Da questa storia prese spunto l'avvio della serie regolare dedicata al ghiottone che la Marvel fece esordire, sempre su testi di Claremont e disegni di Buscema, nel 1988.

Dopo la prima mini-serie la Marvel fece uscire decine di pubblicazioni dedicate al ghiottone, ad opera di molti artisti di talento come Alan Davis, Mike Mignola e altri, fino alla fondamentale Weapon X realizzata da Barry Windsor-Smith nel 1991, apparsa sempre su Marvel Comics Presents e nella quale fu in parte rivelato il segreto del suo scheletro di adamantio.

Il resto è storia...

La quattordicesima parte è qui.

Note
[1] La miniserie Wolverine (4 numeri, date di copertina settembre-dicembre 1982) fu pubblicata dalla Play Press nell'omonimo volume nel luglio del 1989 (supplemento al n°4 del mensile DP7) basato a sua volta sul volume pubblicato dalla Marvel nel 1987.
[2] La miniserie Kitty Pryde and Wolverine (6 numeri, date di copertina novembre1984 - aprile 1985) fu pubblicata dalla Play Press nel n°2 della collana Play Book (marzo-aprile 1990).