Un'iconica versione di Wolverine disegnata dal grande Arthur Adams. |
Wolverine è morto.
Ok, lo sappiamo, sarà per poco, tra un annetto o due la Marvel lo farà ritornare in pompa magna. Non è la prima volta e non sarà nemmeno l'ultima. Soprattutto gli X-Men e i gli altri mutanti sono morti quasi tutti svariate volte. Il Professor X almeno tre, Jean Grey due, poi Colosso, Nightcrawler, Magik, ecc. La morte è sempre stata parte della tragica epopea dei "figli dell'atomo". Ce l'hanno nel sangue, in quel DNA impazzito che li ha resi mostri temuti e odiati dai normali Homo sapiens.
Nel 2015 è uscita in Italia per i tipi della Panini Comics la prima parte della miniserie Death of Wolverine. Non l'ho letta, lo farò, ma curiosamente in questi giorni mi ero messo a far ordine ai miei vecchi albi e ho iniziato a rileggere le vecchie storie degli X-Men a partire dalla celebre Seconda genesi che rappresentò l'inizio della nuova e rivoluzionaria incarnazione del gruppo mutante a metà degli anni '70 e nella quale fece il suo vero esordio l'artigliato mutante canadese.
Oggi di Wolverine sappiamo tutto perché, nell'arco di 40 anni, gli autori della Casa delle Idee ci hanno spiegato in tutte le salse la sua storia e il suo passato, in una continua mescolanza di ricordi veri, falsi e presunti. Le sue origini, quelle vere, sono rimaste un mistero per tre decenni. Nessuno, nemmeno il grande Chris Claremont, aveva veramente voglia di metterci mano. Troppo rischioso sbagliare mira e scontentare i lettori. La domanda "chi è veramente Wolverine?" è stato uno dei più celebri tormentoni del fumetto supereroistico.
Leggendo le prime storie ho seguito da vicino l'evoluzione di colui che abbiamo poi scoperto chiamarsi Logan, poi James Howlett, con una pletora di mogli, amanti e figli, con mille battaglie alle spalle e con un mare di nemici mortali, senza che se ne ricordasse fino a che qualche scrittore della Marvel ha deciso di illuminare il suo passato, a noi lettori e anche a lui, il protagonista.
All'inizio però non era così, di Wolverine non si sapeva nulla se non che indossava un improbabile costume giallo-blu, una maschera con le orecchie e dei baffi disegnati sotto il naso, che dalle sue mani spuntavano degli artigliacci metallici poco rassicuranti e che era canadese, o per lo meno lavorava per l'esercito canadese (ma davvero il Canada ha un esercito?).
Un vero bullo... ecco "The Wolverine"! (The Incredible Hulk n°180) |
Ripercorriamo perciò la carriera editoriale di Wolverine a partire dalla sua prima apparizione, per scoprire come, albo dopo albo, il personaggio si è evoluto fino a diventare l'onnipresente protagonista di tutte o quasi le uscite mensili della Marvel.
Arma X
Un Gulo gulo nel suo ambiente naturale.[1] |
Wein era un giovane autore da poco arrivato alla Marvel, con una già bella esperienza nel mondo dei comics e che aveva al suo attivo un mucchio di storie per la DC Comics per la quale aveva creato il personaggio di Swamp Thing. Trimpe era invece un veterano che da molti anni disegnava la serie regolare del "Golia Verde". In realtà il progetto grafico di Wolverine pare sia opera di John Romita che all'epoca era l'art director della casa editrice.[2]
Pubblicità del n°181 di The Incredible Hulk. |
La vignetta finale del n°180 è però solo l'introduzione al numero successivo, nel quale l'artigliato canadese si intromette nella sontuosa scazzottata tra Hulk e la mitica creatura nota come Wendigo, un gigante bianco e pelosone che è in qualche modo il corrispondente nord-americano dello Yeti, l'"abominevole uomo delle nevi".[3]
Ed ecco... Wolverine, da L'Uomo Ragno n°193, Editoriale Corno, settembre 1977. |
In queste prime vignette Wolverine saltella a destra e a manca cercando di colpire prima uno e poi l'altro gigante. Gli artigli di adamantio, che in questa prima versione non sembrano essere retrattili, riescono persino a ferire Wendigo. Nel disegno di Trimpe non c'è sangue, ma le lame sembrano ferire il peloso avversario. All'epoca nei fumetti Marvel non c'era posto per immagini truculente, splatter, di sangue sgorgare dalle ferite non se ne vedeva ancora, ma l'immagine di un uomo che provoca una vera ferita, peraltro ben nascosta sotto la pelliccia di Wendigo, rappresentava un'importante novità. Nell'ingenuità generale della storia si trattò di un piccolo sconvolgimento dei canoni narrativi del mondo dei comics supereroistici. Lo stesso Wolverine rappresentò una novità in tal senso: un personaggio che utilizzasse armi offensive così palesemente violente non si era forse mai visto, per lo meno nei fumetti Marvel. E Freddy Krueger sarebbe arrivato 10 anni dopo.
Tutti nuovi, tutti diversi
A metà degli anni '70 la Marvel iniziò ad accorgersi che il mercato internazionale era un affare interessante. In Italia, ad esempio, si era nell'epoca d'oro dell'Editoriale Corno guidata da Luciano Secchi, che aveva nei super-eroi americani pubblicati su licenza uno dei suoi cavalli di battaglia. La Casa delle Idee decise perciò di cavalcare l'onda e di mettere in cantiere una serie dedicata a un gruppo internazionale, formato da eroi provenienti dai paesi in cui le sue storie venivano pubblicate e avevano successo. Nel frattempo alla Marvel si erano accorti di un fatto insolito. La testata bimestrale The X-Men era stata congelata nel 1970 quando aveva smesso di presentare le storie inedite del primo gruppo mutante creato da Stan Lee e Jack Kirby. La collana non era stata però sospesa ed era rimasta in vendita, continuando la numerazione originale, presentando solo ristampe di vecchie storie. Nonostante ciò era rimasta a galla e continuava a sostenersi da sola, con risultati di vendita inattesi e a volte anche superiori di quelli di alcune serie regolari che presentavano storie nuove. Inoltre gli X-Men, orfani della loro serie regolare, continuavano ad essere accolti molto bene dai lettori nelle loro frequenti incursioni negli albi di altri personaggi. Roy Thomas, al tempo editor-in-chief (cioè il curatore/redattore responsabile delle pubblicazioni della casa editrice), succeduto in questo ruolo al "sorridente" Stan, decise di mettere insieme le due cose e diede incarico a Len Wein di rifondare gli X-Men con una formazione internazionale in grado di attirare i lettori stranieri. Nel frattempo proprio Wein sostituì un Thomas oberato di lavoro nel ruolo di editor-in-chief e, pur non entusiasta, si mise al lavoro. Come disegnatore fu scelto Dave Cockrum, da poco arrivato dalla DC Comics dove aveva realizzato con ottimi risultati molte storie della Legione dei Super-Eroi della quale aveva ridefinito l'aspetto grafico e il disegno dei costumi.
Giant-Size X-Men n°1, maggio 1975, copertina di Gil Kane e Dave Cockrum |
I due iniziarono a stilare un elenco di personaggi per questi nuovi e internazionali X-Men. Furono rispolverati due vecchi personaggi apparsi nelle storie del gruppo di Xavier negli anni '60, il giapponese Sole Ardente e l'irlandese Banshee. Cockrum rispolverò alcune idee che gli erano state rifiutate per la Legione e creò il diavoletto Nightcrawler (localizzato come tedesco almeno nel nome, Kurt) e Tempesta (ragazza di colore originaria, almeno inizialmente, del Kenia). Poi furono creati Thunderbird, un giovane Apache, e Colosso, proveniente dalla Siberia. Len Wein aveva già un personaggio non statunitense a disposizione e così pensò a Wolverine che, dopo l'esordio contro Hulk, non era più stato utilizzato.
Ne venne fuori una formazione che non era molto aderente alla mission iniziale. Ok per il Canada, paese dove c'era certamente un buon numero di lettori marveliani, passi pure il Giappone, dove qualcosa era già apparso. Per il resto il mercato internazionale della Casa delle Idee fu solo sfiorato. Nightcrawler non aveva nulla che lo caratterizzasse come tedesco, salvo l'accento e il nome, Thunderbird serviva solo a strizzare l'occhio ai, probabilmente non moltissimi, nativi-americani che leggevano le storie di super-eroi. Non si capisce a cosa servissero un personaggio africano e uno russo (in piena epoca sovietica) nell'ottica di sviluppare il mercato internazionale. Davvero un ragazzo russo si sarebbe potuto riconoscere in Piotr Rasputin? Anzi, esistevano ragazzi russi che potevano all'epoca leggere le sue storie? La scelta dei nomi poi era l'ennesimo segnale di un certo provincialismo tipico degli americani: Kurt Wagner, Piotr Rasputin (Romanov era già occupato dalla Vedova Nera), Ororo Munroe, John Proudstar, Sean Cassidy e Shiro Yoshida. La fortuna volle che a Wein e Cockrum non venne in mente di creare un X-Man italiano: l'avrebbero forse battezzato Giuseppe Corleone o Santino Mussolini e sarebbe stato un gondoliere il cui potere era quello di lanciare pizze energetiche alle acciughe...
Tanti stereotipi per un gruppo male assortito e improbabile che però fu fatto esordire nello storico albo Giant-Size X-Men n°1 pubblicato nel maggio del 1975.[4] Il successo non fu certamente clamoroso e Wein fu criticato all'interno della Marvel per aver deluso le aspettative. Pensò bene di svignarsela lasciando quella che ormai era una patata bollente nelle mani di Chris Claremont. Fu una gran fortuna e l'inizio di una storia fantastica.
Wolverine si appresta ad incontrare il Professor X, da X-Men Classic n°1, Marvel Italia, ottobre 1995 |
Snikt!
Nelle pagine di Seconda genesi!, così si intitola la storia della rinascita degli X-Men, Cockrum introdusse una versione di Wolverine più moderna e ne modificò in parte il costume (soprattutto la maschera, eliminando gli antiestetici baffetti). Il Professor X è in cerca di un gruppo di mutanti che lo aiutino a ritrovare gli X-Men originali scomparsi. Li contatta uno ad uno e si reca in Quebec, in una base segreta del governo canadese, dove riesce inopinatamente a convincere l'Arma X a seguirlo. Wolverine si rivela subito scontroso e intrattabile. Particolare degno di nota è che già dalla prima vignetta Wolverine appare con gli artigli "a riposo" e i suoi guanti non presentano le caratteristiche alloggiature che invece compaiono nelle successive. Wolverine rassegna le dimissioni tagliando la cravatta del povero maggiore Chasen con uno dei suoi artigli estratto dal dorso della mano al suono del caratteristico Snikt! che diventerà uno dei suoi marchi di fabbrica.
Durante l'incursione della nuova squadra sull'isola di Krakoa Wolverine dà prova di saper usare i suoi artigli e attacca selvaggiamente un granchio gigante dalle intenzioni peraltro poco pacifiche. Per il resto il burbero canadese non ha un ruolo da protagonista nella storia, ma nelle poche vignette in cui compare ne viene delineato a sufficienza il carattere. Alla fine della storia però rimangono molte domande in sospeso. Si è scoperto che Wolverine ha questi sei artigli metallici che gli escono dal dorso delle mani a comando. E' certamente un soggetto addestrato e allenato al combattimento e non ha paura di usare le sue armi, anzi, sembra che la cosa gli provochi una certa soddisfazione. E' un mutante, lo dice Xavier. Ma qual è il suo potere mutante? Lo stesso Xavier incontrandolo sostiene di conoscere solo in parte in suoi poteri. Wein non si sbilancia e il segreto di Wolverine, insieme a molti altri, rimarrà tale per molti anni. La cosa strana è che nessuno degli altri X-Men sembra interessarsi della cosa.
Continua nella seconda parte.
Note
[1] Immagine di Jeffrey C. Lewis disponibile nel pubblico dominio. Da Wikimedia Commons.
[2] Lo afferma lo stesso Herb Trimpe in un'intervista.
[3] La prima avventura di Wolverine apparve nei numeri 180, 181 e 182 di The Incredible Hulk pubblicati in Italia nei numeri 192, 193 e 194 del quattordicinale L'Uomo Ragno dell'Editoriale Corno (settembre-ottobre 1977).
[4] La storia fu pubblicata in Italia nei numeri 114 e 115 del quattordicinale Capitan America dell'Editoriale Corno (agosto-settembre 1977) e poi ristampata molte volte, ad esempio, insieme alle storie successive della testata Uncanny X-Men (nome che prese la testata X-Men dopo qualche anno), in X-Men Classic della Marvel Italia negli anni '90.